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A volte è difficile buttare via ciò che ci appartiene, anche se non serve più. Vecchi giornali, vestiti ormai logori, oggetti rotti e mai riparati (o che non è possibile riparare). A volte entrano in gioco motivi sentimentali: anche un biglietto d’ingresso al cinema o in un museo, seppur scolorito, può racchiudere un caro ricordo. Ma questa abitudine di non gettare nulla (o quasi) può assumere contorni inquietanti se diventa patologica: viene definita disturbo da accumulo o disposofobia.
Una condizione che porta a riempire non solo armadi e soffitte, ma interi spazi vitali della casa. Cucina, camera da letto, bagno non più utilizzabili a causa di tutto ciò che contengono: stanze trasformate in vere e proprie discariche. E se lo spazio all’interno diminuisce, tocca a giardino e garage.
Un disturbo dalle radici profonde
All’inizio può sembrare un comportamento fastidioso, sicuramente problematico, ma tutto sommato risolvibile semplicemente facendo pulizia. In realtà il disturbo da accumulo può essere molto più complesso. Può avere origini genetiche, oppure essere scatenato da traumi affettivi o situazioni particolarmente stressanti; ma anche da violenze, abusi o separazioni vissute da bambini. Si caratterizza per l’incapacità e la paura della persona a decidere di gettare oppure separarsi da qualcosa, indipendentemente dal suo valore economico. Collezionare oggetti di qualsiasi tipo può infatti andare a colmare una carenza. I soggetti che soffrono di disposofobia possono diventarne anche estremamente gelosi.
Spesso l’accumulatore seriale decide di conservarli giustificando la sua scelta con il pensiero che in futuro “potrebbero servire”, nonostante spesso siano riviste ingiallite, confezioni vuote di alimenti, tessere scadute o addirittura spazzatura.
I soggetti che presentano questo disturbo, oltre a vivere in maniera isolata- dando origine a un paradosso: più cercano di riempire un vuoto, più si allontanano dagli altri- rischiano di sviluppare patologie legate alla scarsa considerazione che hanno della propria salute. Spesso finiscono per vivere in ambienti insalubri e con scarsa igiene, oltre a non riuscire più a svolgere attività quotidiane come cucinare o lavarsi. Il più delle volte sono gli stessi familiari a denunciare e acercare supporto per situazioni diventate ormai insostenibili.
Le varie sfaccettature della disposofobia
Il disturbo da accumulo può riguardare determinati oggetti, come giornali o abiti, ma anche animali domestici, in particolar modo i gatti. In quest’ultimo caso si può parlare di compulsione all’ammassamento di animali.
La disposofobia può avere diverse conseguenze. Può portare all’acquisto compulsivo o alla ricerca e alla raccolta di determinati oggetti gratuiti (come riviste o volantini). Ma anche causare problemi economici e legali, fino a sfociare nello sfratto, nell’elevato rischio di incendio o di avere degli incidenti in casa.
Questo tipo di disturbo porta subito alla mente dei reality che venivano trasmessi in tv: programmi dal titolo “Sepolti in casa” o “Accumulatori seriali”, che mostravano circostanze sfuggite a ogni controllo. Anche la storia racconta di casi eclatanti, come i fratelli Collyer di New York, entrambi morti per conseguenze legate all’accumulo compulsivo: uno schiacciato dal peso di alcuni oggetti, il secondo perché impossibilitato a muoversi.
Epiloghi tragici possono essere però evitati. La terapia breve strategica, ma anche l’ipnosi, riescono a ottenere grandi risultati nel trattamento del disturbo da accumulo.